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Mobbing

ART 2087 c.c.: Tutela delle condizioni di lavoro
"L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro."

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L'art. 2087 ha rappresentato il referente centrale del recente dibattito sul c.d. «mobbing», ovvero le azioni e i comportamenti intimidatori ed ostili di cui il lavoratore viene fatto oggetto nell'ambiente di lavoro da parte dei propri superiori o colleghi. Il mobbing, incidendo sull'equilibrio psico-fisico del dipendente, può condurre ad una situazione di stress, depressione e talvolta perfino al suicidio (Figurati, Osservazioni in materia di mobbing in GIL, 2000, 15, 35) e costituisce per questo una causa di violazione del dovere datoriale di tutelare la personalità morale e l'integrità fisica del lavoratore.

1. Ipotesi di mobbing
Costituiscono fenomeni di mobbing:
- la messa in atto di comportamenti persecutori, ivi incluse le reiterate molestie sessuali di un superiore gerarchico verso una lavoratrice (T. Torino 16.11.1999), anche se non in contrasto con specifiche norme contrattuali (Cassazione 4774/2006),
- l'adibizione a mansioni dequalificanti e poco consone alla professionalità del lavoratore, al punto da farlo cadere in una malattia acuta (T. Torino 30.12.1999).
2. Mobbing verticale ed orizzontale
La giurisprudenza distingue il mobbing"verticale" da quello "orizzontale".
Mentre nel primo caso le condotte illecite sono poste in essere in via univoca dai superiori gerarchici della vittima, nel secondo l'azione di emarginazione e vessatoria viene posta in essere con la complicità dei colleghi.
Perché si considerano accertate condotte di mobbing "orizzontale" deve essere provata la condotta vessatoria, reiterata e duratura dei colleghi avente la finalità di emarginare e discriminare il collega, desumibile unicamente dalla stessa condotta ( T. Venezia 9.1.2007).
3. Prova del mobbing
In un caso e nell'altro, è bastata al giudice la prova del collegamento tra condotta e danno per dichiarare la mancata osservanza dell'art. 2087, per l'idoneità di quella condotta ad incidere sulla salute e serenità del lavoratore; divenendo anzi pienamente giustificabile il licenziamento dell'autore del comportamento antigiuridico (C. 359/2003; C. 5049/2000).
Tuttavia, larga parte della giurisprudenza richiede che gli specifici comportamenti persecutori siano ripetuti nel tempo e preordinati al raggiungimento dello scopo di danneggiare il lavoratore (A. Bologna 11.4.2009).
In particolare, nella massima della recente sentenza Cass. civ. Sez. lavoro, 26/03/2010, n. 7382 è dato leggere: "In tema di mobbing e risarcimento del danno, affinché risultino violate le disposizioni ex art. 2087 c.c. è necessario l'effetto lesivo sull'equilibrio psico-fisico del dipendente, che dunque deve riuscire a dimostrare l'intento persecutorio sotteso a una serie di vessazioni, poste in essere in modo sistematico e prolungato, e la relazione causale fra la condotta e il pregiudizio alla sua integrità (l'apprezzamento spetta alla fase di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se ben motivato".

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Contratto di locazione: privilegio ex. art 2764 c.c. del credito del locatore.

Ai sensi dell'art 2764 c.c. "Il credito delle pigioni (termine da ritenersi equivalente a canoni per gli immoili urbani -Tribunale Bergamo 12.01.1995-) e dei fitti degli immobili ha privilegio sui frutti dell'anno e su quelli raccolti anteriormente, nonché sopra tutto ciò che serve a fornire l'immobile o a coltivare il fondo locato.".
Come evidenziato in Dottrina, con tale primo comma "il legislatore ha inteso riferirsi ai crediti del locatore di immobili urbani verso il conduttore e a quelli del locatore di fondi rustici verso l'affittuario". (Pratis, "Dei Privilegi" –Commentario al Codice Civile- UTET, pg. 287).
Il principio in base al quale il credito del locatore è assistito da privilegio è stato altresì ribadito a più riprese dalla Giurisprudenza di legittimità; nella massima della sentenza Cass. 13.06.1990, n. 5772 è infatti dato leggere: "Il credito del locatore conseguente dall'inadempimento del contratto è assistito dal privilegio di cui all'art. 2764, comma 3, c.c.". (in tal senso confronta Cass., 26 luglio 1974, n. 2257).

Oggetto del privilegio.

Il privilegio di cui all'art. 2764 c.c.- si esercita su "tutto ciò che serve a fornire l'immobile", cioè sulle cose destinate all'uso ed al godimento dell'immobile sulla base di un rapporto di funzionalità e di inerenza economica fra tali cose e l'immobile medesimo e, quindi, di un loro vincolo di stabile destinazione obiettiva alle finalità economico-sociali (ed anche di comodo) dell'uso per il quale l'immobile è stato preso in locazione (c.d. invecta et illata).
Non è necessario che tale rapporto strumentale di destinazione sia permanente e derivi da un atto formale ed intenzionale del conduttore, ma occorre che esso non sia del tutto precario od occasionale ed è sufficiente un'immissione di fatto, tale da determinare in concreto l'assoggettamento della cosa al servizio dell'immobile locato.
Pertanto, "per gli immobili ad uso industriale o artigianale sono da considerarsi destinati a fornire gli immobili gli impianti asportabili, i macchinari, gli utensili da lavoro ecc. nonché le scorte di materie prime ed i manufatti.
Restano esenti dal privilegio oltre alle cose mobili che si trovino solo occasionalmente presenti nell'immobile, avuto riguardo alla sua destinazione, anche le cose che vi si trovino in riparazione o in deposito pur se non appartenenti a terzi". (Pratis, "Dei Privilegi" –Commentario al Codice Civile- UTET, pg. 291).

Il procedimento di descrizione nel diritto industriale

L'uso non autorizzato del diritto di proprietà industriale costituisce contraffazione; la relativa azione civile viene indicata genericamente come azione di contraffazione, indipendentemente da quali siano le domande concretamente proposte: di accertamento, di inibitoria, di descrizione, di sequestro, di risarcimento del danno, di pubblicazione della sentenza
.Il procedimento di descrizione è un procedimento cautelare tipico del diritto industriale la cui disciplina si trova regolamentata dagli artt. 129 e 130 del Codice di Proprietà industriale.
In base all'art. 128 del codice della proprietà industriale <> .

Funzione
Funzione della descrizione è quella di precostituire la prova dell'avvenuta contraffazione, mentre il sequestro è diretto ad impedire il perpetuarsi dell'illecito, paralizzando la commercializzazione dei prodotti recanti il marchio contraffatto.
Data tale funzione probatoria, il procedimento di descrizione si avvicina ad altri mezzi di istruzione preventiva come l'accertamento tecnico e l'ispezione giudiziale.

Presupposti
Nella sentenza Tribunale Bologna, 08/05/2002, è dato leggere: "Il provvedimento di autorizzazione della descrizione a tutela di una domanda di brevetto per modello ornamentale può essere emesso ove ricorrano i requisiti del "fumus boni iuris" e del "periculum in mora" insito, quest'ultimo, nella stessa prospettazione della violazione del diritto brevettuale. Lo stesso provvedimento può inoltre essere emesso "inaudita altera parte" quando ricorre una situazione di eccezionale urgenza di provvedere ed al fine conclamato di acquisire prove della dedotta contraffazione. "
Ancora Trib. Bologna 9 ottobre 2008 "Il presupposto di concessione della misura di descrizione è l'accertamento del periculum in mora essendo irrilevante, secondo, che l'art. 128 del d.lgs. n. 30/2005 non riproponga il riferimento al requisito della "eccezionale urgenza" invece richiamato dalla legge invenzioni; in particolare, la misura della descrizione può essere concessa a condizione che venga accertato il pericolo che nel tempo occorrente per giungere all'accertamento nel giudizio ordinario la prova venga dispersa."
Procedimento
Ai sensi dell'art. 128 dunque, il titolare di un diritto industriale può chiedere che sia disposta la descrizione degli oggetti costituenti violazione di tale diritto, nonché dei mezzi adibiti alla produzione dei medesimi e degli elementi di prova concernenti la denunciata violazione e la sua entità.

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Minori: prevale il cognome materno senza riconoscimento contestuale

Qualora il figlio non venga riconosciuto contestualmente dai genitori, al minore nel suo interesse deve essere dato il cognome di chi per primo l’ha riconosciuto non potendo prevalere un regime del "favor" per il patronimico: con questo principio la sesta sezione della Suprema corte con la sentenza 19 febbraio-27 giugno 2013 n. 16271 ha rigettato la richiesta del procuratore generale di una Corte d'appello favorevole all'apposione del doppio cognome.

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Il procuratore generale presso la Corte di appello aveva proposto ricorso in Cassazione, affidato a tre motivi, contro il decreto con il quale detta corte, che si era pronunciata sul reclamo proposto dai rispettivi genitori di una bambina contro il provvedimento con il quale era stato disposto — a seguito di comunicazione dell’Ufficiale dello Stato Civile di un Comune - l’aggiunta al cognome materno di quello del padre — che aveva successivamente effettuato il riconoscimento della figlia naturale dei predetti coniugi. La Corte d'appello, infatti, aveva annullato il decreto reclamato, affermando in sostanza che l’attribuzione del cognome materno, scelto concordemente dai genitori, corrispondesse all’interesse della minore, costituendo, per altro, già un segno distintivo della personalità della stessa.

Le motivazioni della Suprema corte

Secondo i magistrati la "corte territoriale sulla base di una valutazione di merito insindacabile in questa sede, supportata da ampia ed esauriente motivazione, esente da incongruenze sul piano logico-giuridico (e di ceno non fondata sulla manifestazione della volontà dci genitori, ma incentrata soprattutto sull’interesse della minore), ha correttamente applicato il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui in tema di attribuzione giudiziale del cognome al figlio naturale riconosciuto non contestualmente dai genitori, poiché i criteri di individuazione del cognome del minore si pongono in funzione del suo interesse, che è quello di evitare un danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua personalità sociale, la scelta del giudice non può essere condizionata nè dal “favor” per il patronimico, nè dall’esigenza di equiparare il risultato a quello derivante dalle diverse regole, non richiamate dall’articolo 262 del codice civile, che presiedono all’attribuzione del cognome al figlio legittimo (Cass., 29 maggio 2009, n. 12670; Cass. 3 febbraio 2011, n. 2644)”. Nella sostanza, il Collegio non ha condiviso le argomentazioni espresse dal procuratore generale nella sua richiesta e ha ritenuto legittimo il comportamento dei due coniugi che hanno aggiunto al cognome materno quello del padre.  

Contratti non formali: il nuncius non è parte del contratto

Con la recente sentenza del 14 febbraio 2014, n. 3433, la Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi sulla distinzione tra le due figure del rappresentante indiretto e del nuncius, ribadendo come Nei contratti non formali, il nuncius non assume la qualifica di parte contrattuale, nè in senso formale nè in senso sostanziale, quando faccia presente al proponente che l'accettazione della proposta proviene da altro soggetto, così trasmettendone la dichiarazione, anche se non indichi le generalità del contraente effettivo, purché fornisca alla controparte elementi idonei alla sua identificazione.
La differenza sostanziale tra la figura del rappresentante indiretto e quella del nuncius è data dalla assunzione della qualità di parte sostanziale e formale del contratto, cioè del soggetto cui vanno imputati gli effetti del contratto (parte sostanziale) e che renda le dichiarazioni contrattuali (parte formale).
Il rappresentante indiretto è parte in senso formale e in senso sostanziale, sia pure, quanto a questo secondo aspetto, con talune limitazioni (perché alcuni effetti del contratto stipulato dal rappresentante indiretto si producono direttamente in capo al rappresentato, come si evince dagli artt. 1705, comma 2, secondo inciso, e 1706, comma 1, c.c.).
Diversamente, il nuncius non è mai parte né in senso sostanziale né in senso formale.
In particolare, la figura del nuncius prescinde dall'esistenza di un qualsiasi potere di rappresentanza, limitandosi egli a trasmettere una dichiarazione altrui, già completa nei suoi elementi, cosicché è necessario solo che egli sia in grado di riferire quella dichiarazione e non anche che egli rappresenti alcuna delle parti interessate. Con riferimento ai contratti non formali, poi, il nuncius non assume la qualifica di parte contrattuale, né in senso formale né in senso sostanziale, quando faccia presente al proponente che l'accettazione della proposta proviene da altro soggetto, così trasmettendone la dichiarazione, anche se non indichi le generalità del contraente effettivo, purché fornisca alla controparte elementi idonei alla sua identificazione.
Tali principi sono stati enunciati dal giudice di legittimità in una recente decisione. Nel caso in esame, la Suprema Corte ha ritenuto non censurabile la pronuncia con la quale il tribunale aveva accolto l'appello proposto da una signora nei confronti di una società commerciale avverso la sentenza del giudice di pace con la quale era stata rigettata l'opposizione proposta dalla ingiunta debitrice contro il decreto ingiuntivo emesso a suo carico ad istanza della società creditrice per una somma di danaro corrispondente al prezzo di un computer. In particolare, come confermato anche dalla Suprema Corte, l'opponente aveva dedotto di essere estranea alla compravendita per non avere mai ordinato né ricevuto il computer essendosi la stessa limitata ad assumere soltanto il ruolo di intermediario tra la società ed un vicino di casa quale unico e vero destinatario della merce indicata nella fattura posta a fondamento dell'emissione del decreto ingiuntivo.

Appello valido anche col deposito della ‘velina’ se segue l’originale notificato

“L’improcedibilità dell’appello è comminata dall’articolo 348, primo comma, c.p.c. per l’inosservanza del termine di costituzione dell’appellante, ma non anche per il mancato rispetto delle forme di costituzione, sicché, essendo il regime dell’improcedibilità di stretta interpretazione in quanto derogatorio al sistema generale della nullità, il vizio della costituzione tempestiva ma inosservante delle forme di legge soggiace al regime della nullità e, in particolare, al principio del raggiungimento dello scopo, per il quale rilevano anche comportamenti successivi alla scadenza del termine di costituzione; ne consegue che non può essere dichiarato improcedibile l’appello se l’appellante, nel costituirsi entro il termine di cui agli artt. 165 e 347 c.p.c., ha depositato, all’atto dell’iscrizione a ruolo, una c.d. ‘velina’ dell’atto d’appello in corso di notificazione - priva, quindi, della relata di notifica -, qualora egli abbia depositato, successivamente alla scadenza del termine medesimo, l’originale dell’atto notificato, conforme alla ‘velina’”. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza 15715/2013.